Alcune note sulle fusioni bancarie in Europa
Il dott. Andrea Enria, Presidente del SSM della BCE, ha recentemente toccato il tema delle fusioni bancarie in un discorso intitolato "The banking union – a personal view on its past, present and future", al quale potete accedere cliccando qui.
"Another structural challenge for the banking union is facilitating the removal of the excess capacity still in the system, which is dragging down bank profitability. Consolidation would be beneficial for the sector, but there seem to be a number of impediments blocking progress. Supervision should ensure that the merged entities provide sufficient reassurance about their capital trajectory, the sustainability of their business plan and the effectiveness of their governance arrangements. But it should not be an obstacle to healthy transactions."
I pilastri per conseguire un'efficace fusione tra banche, quindi, sono tre: lo sviluppo del capitale della banca derivante dalla fusione, il disegno di un business plan che dimostri una creazione di valore sostenibile nel medio termine e la definizione di regole di governance chiare e solide. Non appare facile disegnare una soluzione vincente per ciascuno di questi tre temi, e ciò sia perchè le fusioni transfrontaliere in Europa sono di difficile realizzazione di per sè, sia perchè se l'obiettivo della fusione è la riduzione della capacità in eccesso dei due gruppi che si fondono, gli impatti sul capitale, sulla performance e sulla governance sono difficili da stimare (e quasi mai sono di segno positivo).
Come procedere per disegnare un percorso quale quello auspicato dal dott. Enria?
In primo luogo, appare sconsigliabile ricorrere al paravento delle economie di scala e di scopo: ammesso che esse esistano davvero, e nel settore bancario questo è un dilemma dibattuto da decenni, ogni proposizione fondata prevalentemente sul taglio dei costi operativi tende a posizionare un intermediario nella fascia meno profittevole del mercato.
E' sconsigliabile anche tentare di illudere i mercati e gli investitori mediante la definizione di strategie tese a dimostrare che si può guadagnare sui problemi accumulati nel passato: l'evidenza empirica, infatti, suggerisce, ad esempio, che promettere di guadagnare sulla gestione di montagne himalayane di NPL, accumulatesi nel passato, è un chiaro invito alla dabbenaggine.
Impegnarsi a mantenere sostanzialmente lo status quo dopo la fusione, infine, appare una scelta contraria al senso della storia ed, in particolare, a quella della tecnologia.
Come ridurre, quindi, la capacità di offerta in eccesso di due gruppi che desiderano fondersi? Le risposte sono molte, tutte da analizzare con accuratezza in una logica di medio termine, senza ricorrrere alla modesta ricerca di trade-off multipli che, come noto, molto spesso conducono prima allo stallo e poi al fallimento. Le soluzioni di compromesso, come noto, sono il contrario della buona strategia.
E' invece necessario dedicare molto tempo alle riflessioni strategiche, ad una riconfigurazione delle attività di ricerca e sviluppo - ed, in particolare, alla continua comprensione di uno spettro sempre più ampio delle preferenze dei clienti -, alla valorizzazione delle capacità e delle competenze speficiche presenti in ciascun gruppo, al disegno di politiche di outsourcing e di alleanze strategiche compatibili con il mantenimento e lo sviluppo di nuove competenze all'interno del gruppo derivante dalla fusione, nonchè alla definizione delle strategie e delle politiche necessarie per entrare in nuovi mercati ad alto valore aggiunto, dato che quelli serviti sono destinati a contrarsi, sotto ogni profilo, sempre di più.
La riduzione, o meglio la riconfigurazione, della capacità di offerta richiede, quindi, molta più riflessione strategica rispetto a quella necessaria nelle fasi di espansione: una volta chiusa una filiale, un dipartimento, un'area di business o un'area geografica, infatti, non si torna più indietro.
Anche se i mercati e gli analisti chiedono fatti, sono le riflessioni strategiche quelle che contano davvero. Capitale e performance, pertanto, sono il frutto di un'eccellente governance, mentre non è vero il reciproco, come alcuni investitori istituzionali reputano ingenuamente possibile.