Gli effetti sulle imprese delle restrizioni al credito
Quali relazioni sussistono tra i vincoli all’accesso al credito ed il livello degli investimenti aziendali? È un tema particolarmente importante per l’Italia, dato l’ampio ricorso al mercato dei finanziamenti bancari da parte delle PMI e delle imprese di maggiori dimensioni. La Banca Centrale Europea ha pubblicato un interessante articolo sul tema riportato nel Bollettino Economico n. 2/2018, articolo intitolato “Gli effetti reali della restrizione al credito” ed al quale potete accedere cliccando qui.
L’articolo riporta, in primo luogo, una significativa sintesi della letteratura in tema di effetti delle restrizioni all’accesso del credito sull’economia reale ripartita in tre famiglie (sensibilità degli investimenti ai flussi di cassa, indagini campionarie ed effetti reali delle crisi del debito sovrano) per proporre, successivamente, alcune analisi, desunte da specifiche indagini campionarie, che suggeriscono un impatto delle restrizioni creditizie fortemente negativo sugli investimenti aziendali.
In particolare, viene rilevato che:
- il 24% del campione di imprese europee considerato (poco meno di 5.000 imprese appartenenti a 12 paesi europei) è stato soggetto ad una qualsiasi forma di restrizione creditizia nel periodo aprile 2014-marzo 2017;
- questo sottoinsieme di imprese è prevalentemente formato da imprese micro o piccole, con una anzianità inferiore ai 5 anni, non appartenenti a gruppi aziendali, individuali/famigliari o controllate da VC, non esportatrici ed operanti in paesi vulnerabili;
- le imprese soggette a restrizioni hanno attestato una stasi o una riduzione degli investimenti superiore di 15 punti percentuali rispetto al campione di imprese senza restrizioni;
- in particolare, le analisi econometriche evidenziano che “le restrizioni al credito riducono le probabilità di un aumento degli investimenti di 92 punti percentuali” (con una significatività del coefficiente al 5 per cento);
- l’analisi non tiene conto del cd. “margine estensivo”, e cioè di quelle imprese che hanno chiuso le attività per mancanza di credito o che non sono entrate nel mercato per non aver ottenuto i finanziamenti, ciò che rende i risultati delle analisi maggiormente prudenti e certi.
Le evidenze della ricerca sottolineano l’importanza della presenza di concrete misure di politica monetaria tese a rinforzare l’offerta di credito alle imprese e l’assoluta centralità delle politiche di offerta del credito adottate dalle banche. I criteri di concessione del credito alle PMI (ed alle grandi imprese) sono, infatti, la prima determinante della maggiore o minore restrizione del credito e dipendono, verosimilmente, dall’esposizione dei bilanci bancari ai rischi che gravano sugli emittenti di titoli sovrani da esse detenuti, dai livelli di NPL accumulati e dalla loro specifica propensione al rischio.
A fronte di questo scenario le PMI dovrebbero costantemente cercare di posizionarsi nell’alveo delle (molte) imprese alle quali è difficile negare l’espansione del credito (circa il 75% del campione) rafforzando le proprie dotazioni patrimoniali, gli assetti proprietari, i mercati serviti, le dimensioni aziendali, l’eventuale inserimento all’interno di gruppi di imprese ed il livello di profittabilità dei progetti di investimento sottoposti al vaglio delle banche.
Lo spessore della comunicazione finanziaria, la qualità del dialogo con le banche e la scelta dell’intermediario con il quale avviare relazioni creditizie sono, infine, altri fattori di rilievo per le imprese che desiderano superare le rigide soglie dei criteri di concessione del credito adottati da talune banche.