Il rischio di non valutazione
In 6 anni, tra i 7 che intercorrono tra il 2013 ed il 2019, i crediti erogati dalle banche italiane a favore delle imprese si sono ridotti (solamente nel 2018 essi sono aumentati), e con riferimento al 2019 la Relazione Annuale della Banca d’Italia, che potete scaricare cliccando qui, rileva quanto segue:
“I prestiti alle imprese si sono contratti dell’1,8 per cento. La flessione si è intensificata nel corso dell’anno, a causa della debole domanda indotta dal rallentamento ciclico; è stata maggiore per le imprese delle costruzioni e dei servizi e per quelle più rischiose. I prestiti bancari in bonis alle piccole imprese hanno subito un calo, mentre sono leggermente aumentati quelli alle aziende di maggiore dimensione.
Per effetto soprattutto del minore costo dei contratti a tasso fisso, i tassi di interesse sulle nuove erogazioni alle imprese sono scesi in media di 10 punti base, raggiungendo il valore minimo storico di 1,7 punti percentuali.
Dal 2013 la quota di prestiti alle imprese con durata inferiore ai dodici mesi si è gradualmente ridotta, scendendo dal 37,3 al 31,3 per cento; rimane tuttavia più elevata che in Germania, Francia e Spagna (15,1, 16,9 e 21,7 per cento, rispettivamente). La diminuzione della quota di prestiti a breve termine attenua le esigenze di rinnovo dei prestiti da parte delle imprese, particolarmente acute a seguito della crisi economica innescata dall’epidemia di Covid-19.”
Prestiti in flessione – in particolare per costruzioni, servizi, imprese più rischiose e PMI –, tassi di interesse in ulteriore riduzione (1,7 per cento in media, ma sarebbe interessante approfondire il tema) e meno di un terzo dei prestiti a breve termine. Questo è, in estrema sintesi il quadro prima della pandemia. Il 2020 sarà invece un esercizio nel quale, anche grazie ai provvedimenti assunti dallo Stato ed alle buone condizioni di liquidità delle banche, l’espansione dei crediti alle imprese è destinata a risultare molto rilevante.
Così come la BCE fornirà una molteplicità di strumenti di supporto alle tesorerie delle banche della zona euro per ridurre al minimo ogni tensione finanziaria, le banche commerciali saranno infatti chiamate a fornire supporto all’economia, ed in particolare alle imprese, assumendosi rischi ben superiori a quelli del passato. Sarebbe elementare condurre una banca assumendo, da un lato, ogni forma di facilitazione da BCE e riducendo, dall’altro, ogni forma di rischio, ma questa gestione passiva ed opportunistica condannerebbe una banca ad un severo giudizio sociale, e forse politico, e ne determinerebbe l’ulteriore atrofizzazione gestionale, rendendola più simile ad un ufficio postale.
È invece necessario cambiare la cultura, far evolvere gli approcci prudenziali sviluppati sino alla fine del 2019 e mettere alla prova le effettive capacità di fare nuovi affari sviluppati da una banca nel corso degli ultimi dieci anni. Il problema da risolvere non è la valutazione del rischio, ma il rischio di non valutazione, e cioè il rischio di non saper valutare, in profondità e nel medio termine, i rischi effettivi e le nuove opportunità che ogni impresa affidata da una banca può creare. Il rischio è quello di limitarsi alla valutazione della punta dell’iceberg (la situazione di stress di una impresa oggi) senza approfondire le effettive opportunità di riconfigurazione delle attività posseduta da un’impresa che può rappresentare, soprattutto per una banca, un’eccellente opportunità per sviluppare nuove forme di consulenza. RAF, ICAAP ed ILAAP dovranno essere profondamente rivisti, ovviamente, ma ciò che attende le banche è una sfida ben più ampia, che riguarda il recupero di una cultura e di un ruolo attivo nella riconfigurazione del tessuto economico ed industriale del Paese a dodici anni di distanza dalla Grande Crisi Finanziaria. Il prossimo biennio, difficile e faticoso, ci dirà se il sistema bancario italiano ha saputo far evolvere, o meno, il suo ruolo di organizzatore dei processi di creazione di valore del mondo industriale e dei servizi.