Il valore del cambiamento
"La debolezza della crescita dell’Italia negli ultimi vent’anni non è dipesa né dall’Unione europea né dall’euro; quasi tutti gli altri Stati membri hanno fatto meglio di noi. Quelli che oggi sono talvolta percepiti come costi dell’appartenenza all’area dell’euro sono, in realtà, il frutto del ritardo con cui il Paese ha reagito al cambiamento tecnologico e all’apertura dei mercati a livello globale. La specializzazione produttiva in settori maturi ha esposto l’economia alla concorrenza di prezzo di quelle emergenti. Le esitazioni nel processo di riduzione degli squilibri nei conti pubblici hanno compresso i margini per le politiche volte alla stabilizzazione macroeconomica e a innalzare durevolmente la crescita. Sta a noi maturare la consapevolezza dei problemi e affrontarli, anche con l’aiuto degli strumenti europei. Altri hanno saputo farlo in modo efficace."
"Ad altre sfide l’Italia non ha risposto con la stessa determinazione. Ha reagito con ritardo ai cambiamenti imposti dal progresso tecnologico e dall’apertura dei mercati globali, restando esposta più di altri paesi alla concorrenza delle economie emergenti. Non ha completato il percorso di risanamento dei conti pubblici avviato negli anni Novanta, accollandosi i rischi connessi con un’elevata dipendenza dai mercati finanziari per il rifinanziamento del debito pubblico."
Vi riporto due passaggi (grassetti miei) sostanzialmente indentici e contenuti, rispettivamente, a pag. 19 ed a pag. 24 delle Considerazioni Finali del Governatore della Banca d'Italia, che sono state presentate a Roma lo scorso 31 maggio e che potete scaricare, direttamente dal sito della Banca d'Italia, cliccando qui.
Reazione in ritardo a due fattori del cambiamento: progresso tecnologico ed apertura dei mercati globali.
Perchè l'Italia non ha compreso i benefici associati al progresso tecnologico e perchè essa non si è resa conto dei rischi associati all'apertura dei mercati globali? Sono questioni tecniche che certamente meritano approfondimento e che sono state trattate nel corpo della Relazione Annuale.
Ma rimane una domanda aperta, non tecnica e molto più profonda: perchè in Italia si reagisce con così tanto ritardo ai cambiamenti? Perchè in Italia le variazioni, le transizioni e le trasformazioni sono così osteggiate e/o vengono vissute solo in forma gattopardesca?