L'impatto dei rischi di transizione sull'industria finanziaria
Come noto, i rischi di transizione sono quelli connessi con le modalità di passaggio verso un’economia a bassa emissione di carbonio, che si fondano principalmente sul progresso tecnologico e sulla definizione di politiche attive da parte dei governi.
I rischi di transizione, in particolare, si materializzano quando l’introduzione di decise politiche di mitigazione, di rilevanti innovazioni tecnologiche o di rapido mutamento nelle preferenze pubbliche determinano una veloce e diversa valutazione delle attività finanziarie da parte dei mercati e degli intermediari finanziari. Aggiustamenti violenti dei prezzi dei prodotti energetici e della domanda dei titoli delle società più esposte al cambiamento potrebbero riflettersi sulla qualità dei crediti e delle attività finanziarie nei bilanci di banche e investitori istituzionali. Più in dettaglio, i rischi di transizione possono essere indotti dai seguenti, principali fattori:
1. introduzione di incentivi a ridurre le emissioni, a maggior ragione se connessi con provvedimenti fiscali che interessano direttamente taluni settori;
2. introduzione di politiche economiche ad hoc da parte dei governi o dell'Unione Europea;
3. assenza di informazioni adeguate e comparabili circa l’esposizione ai rischi climatici da parte delle istituzioni finanziarie, sia direttamente che tramite le attività/passività finanziarie da esse detenute/emesse;
4. aumento dei rischi di credito, con particolare riferimento ai settori ed alle aree geografiche maggiormente esposte ai rischi ambientali;
5. richiesta di requisiti patrimoniali più elevati a fronte dell'aumento dei rischi di credito, di mercato od operativi;
6. aumenti dei rischi sovrani per quei paesi nei quali i rischi climatici si sono manifestati, o si possono manifestare, in misura maggiore.
Per quali vie è possibile stimare il rischio di transizione? La risposta non è semplice, dato che il rischio di transizione è particolarmente difficile da quantificare, e questo per i seguenti, principali motivi:
1. le analisi sinora sviluppate sono applicabili solamente ad alcuni settori industriali;
2. le analisi settoriali disponibili, peraltro, sono utili solamente per una prima ricognizione del rischio di transizione (ma, di fatto, esse impediscono di apprezzare importanti differenze esistenti all'interno dei singoli settori);
3. le comunicazioni di una buona parte delle imprese circa la loro esposizione ai fattori ESG sono attualmente volontarie e potrebbero non essere pienamente rappresentative;
4. sarebbe necessario sviluppare analisi di scenario e/o prove di stress ad hoc per far fronte al rischio di transizione in modo lungimirante.
Nonostante queste difficoltà, il rischio di transizione può essere analizzato e gestito preventivamente da parte delle imprese e degli intermediari finanziari che in esse hanno investito. La definizione di politiche attive di transizione, e più in generale di politiche ESG attive, può contribuire ad elevare la resilienza e le performance della maggior parte delle imprese. La qualità dell'implementazione dei fattori ESG può contribuire alla creazione di valore sotto molti profili.