L'importanza del sustainability assessment
Come noto, la tendenza a considerare le performance trimestrali degli emittenti ed a gestire i propri investimenti a breve, se non a brevissimo, termine può generare problemi non banali tanto agli investitori quanto alle imprese quotate. Il tema è oggetto di riflessioni da decenni, ma alcune evidenze recenti, verificate anche da investitori istituzionali non in conflitto di interessi quali le banche centrali, confermano la convenienza di adottare un approccio agli investimenti orientato al medio-lungo termine.
Il dott. Piero Cipollone, Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, in una recente prolusione (intitolata “Long-term investors’ trends: theory and practice”, che potete scaricare direttamente dal sito della Banca d’Italia cliccando qui) ha evidenziato quanto segue (formattazione mia):
“In 2019 the Bank of Italy integrated ESG factors into the management of its equity portfolio, not only to meet its social responsibility goals but also to lead investors by example.
We ran a backward test over a ten-year horizon before implementing the new strategy and found that the new portfolio would have had both higher returns and lower volatility than the previous one. These findings, confirmed by several studies, may reflect the fact that the sustainability assessment introduces a forward-looking long-term element in otherwise predominantly backward-looking financial models.
Furthermore, companies that adopt good ESG practices appear to have a competitive advantage resulting from innovation and lower operational, legal and reputational risks.”
L’implementazione dei fattori ESG nei modelli di valutazione degli investimenti può pertanto determinare ritorni sugli investimenti più elevati, una minore volatilità del valore delle singole azioni e/o del portafoglio nel quale si è investito, un netto impulso alla presenza di più marcati orientamenti al futuro nella governance delle imprese, lo sviluppo ed il possesso di vantaggi competitivi derivanti dai processi di innovazione adottati dagli emittenti ed una loro minore esposizione ai rischi operativi, a quelli legali e reputazionali. Non è poco, ma ciò che più conta è che il mind-set degli investitori muta ed il portafoglio di fattori posti a base della valutazione del valore (o del prezzo) di una azione o di un bond si amplia e viene raffinato.
Forse l’etica aziendale, una maggiore responsabilità sociale ed il possesso di solide culture del controllo e del rischio rendono di più, anche in termini di rendimento del capitale, rispetto alle pratiche manageriali predatorie e celoduriste dei più brillanti AD?