Level playing sea
Se l’Europa desidera ospitare un settore bancario davvero competitivo a livello globale, deve saper premiare i modelli di business ritenuti più efficienti e non, invece, quelli ritenuti più rischiosi o quelli che vivono sorretti grazie alle garanzie fornite da terzi, Stato in primis. È questo fondamentale obiettivo che sta alla base della costruzione di un “level playing field” e cioè di parità di condizioni a partire dalle quali dovrebbero operare gli intermediari bancari e finanziari.
Augustin Cartens, General Manager della Banca dei Regolamenti Internazionali, è recentemente intervenuto sul tema con una breve prolusione denominata “A level playing field in banking”. Sul tema dello sviluppo di un “level playing field” a livello globale Cartens osserva che la Grande Crisi ha di fatto ridotto le tentazioni di risposte nazionali alle crisi globali, primo fattore di interferenza nella parità di condizioni, e che Basilea III, dopo otto anni di riflessioni e revisioni, contribuirà non poco ad assicurare una maggiore omogeneità di comportamenti da parte delle banche.
Ma quali rischi di interferenza nel level playing field debbono essere accuratamente valutati, in prospettiva, da investitori ed analisti?
Il primo ha a che fare con un mutamento di clima politico a livello internazionale che può ridurre l’appoggio ad ulteriori progressi nelle estensione del level playing field: temi quali il monitoraggio dello shadow banking, la definizione delle regole per la risoluzione delle controparti centrali e la cybersicurezza ne potranno risentire non poco.
Un secondo rischio concerne i tempi e la qualità dell’effettiva implementazione di Basilea III. Su tale processo (e sui potenziali ritardi connessi) avranno influenza non solo i politici e le vigilanze locali, ma anche le singole istituzioni finanziarie che saranno chiamate ad effettuare investimenti in IT e risorse che risultino sufficientemente ampi e tempestivi.
La terza area di rischi, forse la più rilevante sotto il profilo del business, ha a che fare con la definizione di un lavel playing field connesso allo sviluppo dell’innovazione finanziaria. Il principio di base, come rileva Carstens, è che quando una Fintech assume rischi analoghi a quelli di un intermediario, essa deve essere sottoposta alle medesime regole: stessi clienti, servizi simili e rischi simili devono essere gestiti a parità di condizioni. E realizzare questo obiettivo è molto più difficile quando i soggetti economici sono puramente tecnologici, senza fissa dimora, capaci di spostarsi nelle giurisdizioni meno severe.
Non si ha più a che fare con jurassici galeoni (quali le banche), ingombranti e lenti, che navigano a pochi nodi l’ora, che amano soprattutto starsene ancorati tranquilli nei porti nazionali ma che quando (raramente) si muovono in mare, si tengono vicino alla costa e si possono osservare da miglia di distanza. Le Fintech sono super motoscafi capaci di raggiungere velocità inaudite sul mare della finanza internazionale, costantemente alla ricerca di piccoli porti sicuri nei quali non esiste troppa supervisione, ma sempre pronti a fare incursioni riservate per affiancare i galeoni. Sarà interessante osservare come faranno le autorità che si occupano di regolamentazione e di supervisione a costruire, in aggiunta ad un level playing field per i galeoni, un level playing sea per le Fintech.