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Come dovranno essere gestite le banche popolari nel prossimo decennio? L’audizione della dott.ssa Anna Maria Tarantola, Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, tenutasi recentemente presso la Commissione Finanze e Tesoro del Senato, contiene alcune riflessioni utili per iniziare a sviluppare questo tema. In termini strettamente gestionali ci si attende che le banche popolari prestino molta attenzione al recupero di efficienza ed alla riduzione dei costi operativi, alla difesa del buon posizionamento che esse già possiedono in termini di rischio di credito e allo sviluppo di maggiori livelli di patrimonializzazione, dato l’imminente avvio di Basilea III. L’audizione contiene numerosi apprezzamenti all’opera di supporto all’economia svolta dalle banche popolari nel corso della grande crisi finanziaria. Cionondimeno rimangono sostanzialmente irrisolti alcuni temi importanti sui quali, presumibilmente presto, si esprimerà anche il legislatore. In termini generali essi possono essere così sintetizzati: a) le banche popolari, come tutte le banche, dovranno adeguarsi al nuovo contesto venutosi a creare dopo la crisi finanziaria del 2008, con tutto ciò che ciò comporta dal punto di vista della vigilanza; b) le banche popolari quotate dovranno riuscire a tradurre la forma cooperativa in un vantaggio competitivo nel rapporto con i soci e con i mercati, anch’essi interessati da profonde modifiche comportamentali e normative. Non entriamo nel merito delle proposte che la Banca d’Italia ha accuratamente proposto al Senato - e che potete valutare scaricando il testo dell’audizione della dott.ssa Tarantola direttamente dal sito della Banca d’Italia cliccando qui - ma proviamo a svolgere un primo elementare esercizio che simuli quali comportamenti dovrebbero assumere le banche popolari quotate se tali proposte venissero integralmente adottate nel nostro ordinamento: 1. incentivare con ogni mezzo la partecipazione dei soci alla vita della banca al fine di acquisire costante supporto all’azione della banca (finanziario e non) e di condividere la valutazione dell’operato del management. Come rilevato nel corso dell’audizione, uno dei vantaggi competitivi delle banche popolari non quotate e/o di contenute dimensioni risiede proprio nel fatto che le attività svolta sono “… prevalenti verso i soci-clienti, fortemente radicate sul territorio, per le quali è significativo il controllo svolto dalla collettività”; 2. assicurare e gestire il ruolo degli investitori istituzionali in una ottica di medio-lungo periodo, e ciò al fine di assicurare una progressiva crescita delle quotazioni del titolo ed una costante attenzione alla remunerazione del capitale, sfuggendo a quelle logiche di gestione troppo famigliari che, anche ove condotte con onestà e trasparenza, tendono comunque a ridurre la pressione sulla correttezza dei comportamenti; 3. dimostrare al mercato livelli di accountability e trasparenza (nel senso introdotto da Basilea 2) più elevati rispetto a quelli delle altre categorie di banche, e ciò al fine di conseguire livelli di responsabilità del management più elevati data la mutualità (non prevalente) implicita nella forma sociale. In buona sintesi, le banche popolari dovrebbero poter dimostrare di avere un management più etico rispetto a quello di altre classi di intermediari finanziari. L’impegno richiesto agli organi sociali ed i rischi impliciti in questa visione del futuro delle banche popolari sono certamente elevati, ma quale futuro alternativo possiamo immaginare per una popolare se non una noiosa trasformazione in una conservativa S.p.A.? In un mondo che sarà sempre più green possibile dover ancora ricorrere a tipici veicoli industriali quali sono le S.p.A.?