Quando il CdA perpetua il suo potere
di Alberto Balestreri[1] e Daniela Venanzi[2]
Il tema delle buone pratiche di corporate governance è da sempre un tema di grande rilevanza nel governo di imprese e banche. Molti studi empirici in ambito internazionale mostrano gli effetti positivi di un buon sistema di corporate governance (coerente con le buone pratiche indicate dai codici di autodisciplina e dalle guidelines dei vari organi di controllo e vigilanza) sulla performance e sul controllo del rischio delle società.
Un tema di corporate governance particolarmente caldo in questo periodo (probabilmente anche per la battaglia sul rinnovo del CdA di Generali) è quello della lista degli amministratori presentata dal CdA uscente. Si tratta di argomento molto delicato anche per i numerosi conflitti di interessi che esso implica.
La Consob, sollecitata proprio da alcuni azionisti di Generali, ha elaborato un Richiamo di attenzione (qui il testo) [d’ora in poi il Richiamo Consob] sottoponendolo alla consultazione di esperti e studiosi del settore, che a noi pare ancora troppo soft, ad esempio, rispetto a indicazioni più drastiche contenute nella bozza di proposta di DL dei senatori D’Alfonso-Fenu. Abbiamo partecipato a questa consultazione e riassumiamo qui alcuni aspetti rilevanti che andrebbero attentamente regolamentati e monitorati dagli Organi di Vigilanza e di controllo, prevedendo procedure e controlli rafforzati.
La premessa è che la presentazione di candidature per la nomina del CdA da parte degli amministratori uscenti si è affermata nei sistemi di governance anglosassoni a proprietà dispersa (le c.d. public company), dove si rilevano ampie asimmetrie informative dei soci/azionisti rispetto al management e onerosa è la selezione di candidati al board da parte degli azionisti diffusi. In Italia la pratica non è espressamente prevista dal Testo Unico sulla Finanza (TUF) del 1998, comunemente noto come Legge Draghi, ma è prevista in molti statuti di società quotate (e no) e utilizzata con molta frequenza. La dottrina statutaria (e il Richiamo Consob la cita in apertura) la ritiene pratica ammissibile in quanto espressione dell’autonomia statutaria a patto che la presentazione di tale lista non pregiudichi la nomina di componenti espressi dai soci di minoranza. Il Codice di Corporate Governance emanato nel 2020 prevede che la stessa sia “… da attuarsi secondo modalità che ne assicurino una formazione e una presentazione trasparente” e che il CdA sia coadiuvato dal comitato nomine, composto in maggioranza da amministratori indipendenti.
Il Richiamo Consob enfatizza i rischi di governance nel caso di proprietà concentrata, che è poi il modello prevalente del capitalismo nostrano. E tuttavia tali rischi sono presenti anche nel caso di proprietà dispersa (in Italia è per esempio il caso delle banche Spa ex popolari post-riforma del 2015) e sono altrettanto rilevanti, sebbene di natura diversa.
Nel caso di proprietà concentrata, il principale rischio è l’occultamento di rapporti e collegamenti tra lista del CdA uscente e soggetti proprietari rilevanti (e quindi il conseguente rischio di concertazioni di fatto al fine di evitare le norme sull’OPA obbligatoria del TUF), ma sono certamente inferiori le asimmetrie informative ed i poteri relativi in sede di nomina.
Nel caso di proprietà dispersa, invece, il rischio è di managerial entrenchment (cioè di arroccamento al potere del management in carica) e di perdita di autonomia e indipendenza degli amministratori definiti tali nel mandato precedente e riproposti nella lista del CdA uscente (tra cui, probabilmente, anche quelli espressi dalle minoranze nel mandato antecedente alla presentazione della lista del CdA). I presidi nelle due fattispecie dovrebbero quindi essere distinti e opportunamente mirati al fine di ridurre i diversi aspetti di criticità.
In particolare, ci sembrano tre gli aspetti degni di nota (che andrebbero adeguatamente presidiati nel Richiamo Consob):
- richiedere una Board Review seria, accurata e adeguatamente supportata da dati, da presentare con largo anticipo all’assemblea degli azionisti (almeno 120 giorni prima rispetto alla data dell’assemblea al fine di consentire la presentazione di liste alternative da parte dei soci). Essa non dovrebbe tradursi nella formale verifica del matching con una composizione quali-qualitativa ottimale del CdA, definita in via teorica e slegata dagli effettivi comportamenti assunti dal CdA uscente, ma piuttosto dovrebbe:
- prevedere per gli amministratori esecutivi un confronto (con informativa dettagliata) tra i risultati raggiunti nel mandato che va a concludersi e gli obiettivi di piano, del periodo corrispondente;
- fornire per quanto attiene agli amministratori indipendenti un’analisi accurata del grado di attivismo/indipendenza di giudizio (valutata in termini sostanziali e di comportamento assunto, e non solo formali ex ante o ex post) manifestata concretamente nel mandato che va a concludersi. Si fa riferimento qui all’indipendenza di giudizio che le guidelines EBA-ESMA (Orientamenti ABE sulla valutazione dell’idoneità dei membri dell’organo di gestione e del personale che riveste ruoli chiave, marzo 2018) negli articoli 79 e seguenti definiscono come presenza di competenze comportamentali: “…Nel valutare l’indipendenza di giudizio gli enti dovrebbero valutare se i membri dell’organo di gestione abbiano o meno le competenze comportamentali necessarie, tra cui: i) coraggio, convinzione e forza per valutare e contestare efficacemente le decisioni avanzate da altri membri dell’organo di gestione; ii) essere in grado di porre domande ai membri dell’organo di gestione con funzione di gestione; e iii) essere in grado di resistere alla ’mentalità di gruppo’.”
Si tenga presente che la buona pratica (indicata dal Codice di CG) della Board Review (sia che il CdA uscente presenti o meno una lista) è una delle più disattese dalle società quotate italiane che aderiscono al Codice (come attesta la stessa Consob) perché raramente riguarda i singoli componenti del board (differentemente da quanto accade per esempio in altri paesi: solo nel 13% delle imprese italiane vs. l’84% delle imprese UK, come risulta dall’indagine Crisci & Partners del 2019) e la pubblicità degli esiti del processo enfatizza le “aree di eccellenza”, mentre trascura le “aree di miglioramento”.
In generale, ma ancora di più nel caso di lista presentata dal CdA uscente, l’aspetto critico è la terzietà dei soggetti che la effettuano: non sono terzi, per evidenti conflitti di interessi, né i componenti indipendenti che saranno presenti nella lista presentata dal CdA uscente, né tanto meno i consulenti esterni pagati dal CEO, né gli uffici interni della società. In aggiunta, è fondamentale fornire agli azionisti tutte le informazioni, analisi e valutazioni necessarie, in sede di voto assembleare, per una votazione consapevole e informata, particolarmente utile e necessaria se per esempio diventeranno operative le nuove norme contenute nella proposta di DL dei senatori D’Alfonso-Fenu, che prevede di eliminare la lista bloccata del CdA uscente e di far votare i singoli nomi dagli azionisti in assemblea, ovvero se si decidesse di accogliere anche in Italia il recente orientamento SEC che prevede la scelta da parte dell’assemblea di membri del board tra tutte le liste presentate (la notizia qui).
La Board Review, presentata e argomentata a soci e azionisti nelle modalità sopra indicate assolve anche al ruolo importante di stimolare l’attivismo e le scelte consapevoli della proprietà (tra cui l’engagement degli investitori istituzionali e degli asset manager) che sono key-points della recente direttiva europea SHRD II che enfatizza il ruolo istituzionale di impegno di lungo termine e di coinvolgimento nelle decisioni importanti da parte dei soci/azionisti, sia per ri-bilanciare il loro potere rispetto al board nelle società a proprietà diffusa, sia per rafforzare il loro ruolo (come azionisti di minoranza) rispetto agli azionisti di controllo, nelle società a proprietà concentrata.
- definire procedure rafforzate di selezione/formazione della lista, prevedendo:
- il supporto del Collegio Sindacale (del tutto ignorato nel testo del Richiamo Consob) il quale, più degli amministratori indipendenti (ed in collaborazione con essi), potrebbe fornire un valido supporto per la selezione e la verifica dei requisiti dei componenti da inserire nella lista del CdA e nella gestione dell’intero processo. Di contro, ci sembra sia formale e non effettivo il ruolo di garanzia (supposto dal Richiamo Consob) che potrebbe realisticamente essere assegnato al presidente del CdA (“eventualmente indipendente”, come definito nel Richiamo Consob, dove non è chiaro se si tratta di eventualità non necessaria, come sembrerebbe nel testo, oppure non sufficiente, come affermiamo noi) nel caso in cui venga confermato quello del precedente mandato;
- una maggioranza qualificata per l’approvazione, nel CdA uscente, della lista proposta dati gli evidenti conflitti di interessi dei membri di esso presenti anche nella nuova lista (il Richiamo Consob esclude la loro astensione dal voto per applicazione estensiva dell’art. 2391 cod. civ.). Per intenderci, la lista del CdA non dovrebbe poter essere approvata solo con i voti a favore dei componenti del CdA uscente presenti nella lista sottoposta ad approvazione, ma dovrebbe essere necessario valutare la fattibilità di una pesatura dei voti differenziata tra non confermati e confermati nella lista presentata dal CdA;
- un’approvazione con maggioranza qualificata, da parte dei soci, del Regolamento che regola la formazione di una lista del CdA.
- esplicitare adeguatamente i legami tra i membri presenti nella lista e la pluralità delle tipologie di azionisti/soci. In particolare:
- il rinnovo del mandato tramite lista presentata dal CdA dovrebbe poter comportare una modifica dello status dell’amministratore (ad esempio, da indipendente a non indipendente), con tutte le conseguenze ad esso connesse. Andrebbe cioè attentamente valutato se gli indipendenti del CdA uscente presenti nella lista possano essere ancora considerati tali o se, viceversa, lo stato di indipendenza vada verificato con una procedura rafforzata: in soldoni, i vantaggi che derivano al membro del CdA confermato dal perpetuare il ruolo di amministratore nel tempo può rappresentare un vulnus alla sua indipendenza rispetto al CEO che, nei fatti, ha un ruolo preminente nel formulare la lista e nell’assegnare poi gli incarichi che discendono a grappolo nei vari comitati endo-consiliari o negli organi di amministrazione/controllo di società del gruppo, con conseguente cumulo di compensi;
- un amministratore che è stato nominato da un socio non dovrebbe poter far parte di una lista nominata dal CdA, ma dovrebbe poter proseguire il suo mandato solo se il socio che lo ha nominato per il primo mandato lo ripresenta mediante una sua propria lista. Analogamente, i componenti del CdA nominati dalle minoranze, se presenti nella lista presentata dal CdA uscente, dovrebbero poter permanere in essa solo se confermati dalle liste di minoranza dei soci che li hanno nominati nel primo mandato;
- nel caso di presentazione di una lista del CdA, inoltre, andrebbe abbassata (dimezzata?) la soglia prevista negli statuti per presentare liste da parte dei soci di minoranza;
- gli amministratori nominati da soci che sono parti correlate e che vengono indicati nella lista presentata dal CdA dovrebbero essere sottoposti ad un accurato screening al fine di comprendere le modalità di gestione dei conflitti di interessi da essi in concreto adottate;
- la possibilità di presentare una lista da parte del CdA dovrebbe essere comunque preclusa se la società non dispone di un regime rafforzato di gestione dei conflitti di interesse (tema su cui si rinvia al ns. Conflitti di interessi e finanza, 2021);
- da ultimo, in sede di assemblea, andrebbe sottoposto a votazione ciascun componente della lista presentata dal CdA uscente e non la lista come blocco, prevedendo meccanismi appropriati di integrazione con nominativi inclusi in altre liste presentate.
In buona sintesi, un CdA che propone una propria lista - e che quindi assume una doppia responsabilità - dovrebbe poter assicurare ai soci/azionisti un continuo progresso nella qualità della governance, la riduzione delle aree di debolezza che, per una molteplicità di cause, sono emerse in seno al CdA nel corso del mandato che va a concludersi (ad esempio evoluzione della struttura dei rischi, cambiamenti del modello di business, capacità di fornire insight strategici, dedizione ed impegni effettivi dimostrati) e rendere la scelta dei soci il più possibile informata e consapevole mediante l’assicurazione che tale lista potrebbe (e auspicabilmente dovrebbe) risultare quella maggiormente produttiva di solidi risultati dell’impresa sia nel breve che nel medio termine. E gli organi di controllo dovrebbero vigilare perché ciò avvenga.
[1] Dottore Commercialista e Revisore Contabile, ODCEC Milano.
[2] Professore Ordinario di Finanza Aziendale nel Dipartimento di Economia dell’Università degli Studi Roma Tre.