Rapporti tra banche ed imprese: credit crunch o interlocuzioni professionali?
La BIS (Banca dei Regolamenti internazionali) sostiene che le politiche monetarie e quelle fiscali delle economie sviluppate hanno raggiunto i loro limiti e che esse dovranno posizionarsi, nel futuro, in una “regione della stabilità” dalla quale non dovranno allontanarsi. L’eredità, in termini di eccessi di debito e inflazione, che esse hanno infatti prodotto nel corso degli ultimi 25 anni richiede che nei prossimi decenni le nostre economie vengano trainate da specifiche politiche di sviluppo dell’offerta e non, invece, da incentivi fiscali e monetari. E lo sviluppo dell’offerta richiede nuova finanza. Se quanto sostiene la BIS si avvererà, intermediari e mercati finanziari potrebbero disporre di un’eccellente opportunità di sviluppo nel corso dei prossimi decenni.
Il Bollettino Economico BCE (1/2024) evidenzia però che nel 2023 i crediti concessi alle imprese in Italia si sono ridotti più di quanto osservato in altri paesi europei, nonostante vengano ad esse applicati tassi attivi di interesse (compositi) più elevati rispetto a quelli praticati in altre economie europee.
Il Bollettino Economico della Banca d’Italia (1/2024) attesta inoltre che, dal febbraio 2023, i crediti erogati alle società non finanziarie residenti in Italia hanno mostrato variazioni annue di segno negativo, ulteriormente rafforzatesi a partire da agosto, con tassi di deterioramento dei crediti concessi alle imprese che permangono comunque stabilmente inferiori al 2%.
La cautela delle banche italiane non appare ingiustificata.
Tra il 2006 ed il 2022 le banche italiane hanno iscritto nei loro bilanci NPL verso imprese per 260 miliardi di euro (considerando le sole posizioni chiuse) corrispondenti ad oltre 1,4 milioni di posizioni affidate non performanti. Con un tasso di recupero pari, in media, al 33,5%, le banche hanno perso 173 miliardi di euro, oltre al sostenimento di dozzine di miliardi di euro di costi diretti e di oneri legali connessi alla gestione delle sofferenze.
Si consideri, peraltro, che i NPL ceduti a terzi sono ammontati, nel corso del quinquennio 2018-2022, ad oltre l’80% di essi sia in termini di valore che di numero di posizioni, evidenziando che il credito malato non viene quasi più trattato in banca, una significativa differenza per gli imprenditori e per i destini delle loro imprese. Neanche le garanzie reali hanno fermato le perdite delle banche: seppur fornite in misura crescente nel corso degli anni (sia in termini di importo dei NPL che di numero di posizioni assistite da esse), il tasso di recupero dei NPL assistiti da garanzie reali si è drammaticamente ridotto (dal 49% medio del periodo 2006-2017 al 37% della media 2018-2022).
A settembre 2023 i crediti concessi dalle banche italiane alle imprese già classificati in stage 2 ammontavano al 15,1% del totale (PMI: 16,1%), valore superiore al dato medio europeo (rispettivamente: 13,3% e 14,9%).
Inoltre, ci informa BCE, oltre il 9% delle imprese italiane era da considerarsi vulnerabile, quasi il doppio rispetto a sei mesi prima.
È quindi verosimile ipotizzare che così come i prossimi venti anni non permetteranno l’adozione di politiche monetarie e fiscali espansive, non è parimenti immaginabile che nei prossimi dieci anni le banche italiane si facciano carico di altre centinaia di miliardi di perdite sui crediti concessi alle imprese.
Come far pervenire alle imprese italiane le dozzine (se non le centinaia) di miliardi di euro necessari per riconfigurare le politiche di offerta delle imprese che operano in Italia?
In particolare, come faranno gli imprenditori italiani - non potendo più contare su un’ulteriore espansione del debito pubblico, sui TLTRO della BCE e sulle garanzie concesse sul credito alle imprese o sulle cartolarizzazioni di esse – a portare a casa nuova finanza dalle banche?
Migliorando la qualità delle interlocuzioni con le banche tramite una narrativa d’impresa più efficace e professionale.
Gli Orientamenti EBA relativi alla concessione ed al monitoraggio del credito evidenziano che gli “adeguati assetti”, il rispetto sostanziale dell’OIC 11, il monitoraggio della Centrale Rischi ed il conseguimento di buoni rating da parte del modello di scoring di MCC sono solo precondizioni per accedere al credito, e niente di più. Bilanci, dichiarazioni fiscali e budget non bastano più. È necessario, invece, che gli imprenditori dimostrino alle banche:
- quali sono le capacità dell’impresa, attuali e future, di adempiere alle obbligazioni derivanti dal contratto di prestito richiesto;
- che la principale fonte di rimborso delle obbligazioni creditizie, in essere ed in via di assunzione, è data dai flussi di cassa generati dalle operazioni ordinarie;
- che le stime dei redditi e dei flussi di cassa futuri sono realistiche e sostenibili;
- che non viene fatto eccessivo affidamento sulle garanzie reali eventualmente disponibili;
- che vengono forniti dati ed informazioni, completi a fra loro coerenti ed intellegibili, al fine di agevolare la valutazione del merito creditizio da parte della banca ed inerenti alla posizione finanziaria dell’impresa, al modello di business, alla strategia aziendale, alla struttura dell’operazione di finanziamento;
- quali sono le forme tecniche prescelte, la scadenza e il tasso di interesse atteso;
- quale è l’esposizione dell’impresa ai fattori ESG, in particolare ai fattori ambientali e all’impatto sul cambiamento climatico, e l’adeguatezza delle relative strategie di mitigazione.
Non è detto che le interlocuzioni abbiano sempre successo, a maggior ragione in un contesto giuridicamente complesso e contraddittorio come il nostro.
Ma una buona narrativa d’impresa serve per curare i rapporti con tutti gli stakeholder. E senza interlocuzioni trasparenti, chiare ed approfondite, il credit crunch non è ormai evitabile.