Rischi climatici ed ambientali ed aspettative di Vigilanza
La Banca d’Italia ha rilasciato le proprie “Aspettative di vigilanza sui rischi climatici ed ambientali” (che potete scaricare cliccando qui) con le quali viene fatto il punto circa le principali normative applicabili al settore bancario in ambito ESG e si richiede alle banche ed agli intermediari italiani (banche, SIM, SGR, SICAV/SICAF autogestite, intermediari finanziari ex Articolo 106 TUB e relative società capogruppo, istituti di pagamento, IMEL) il soddisfacimento di ben dodici “aspettative” che saranno oggetto, già nel corrente esercizio, di interlocuzioni dirette con la Banca d’Italia.
Pur non volendo entrare nel merito del contenuto di ciascuna delle dodici aspettative (che verosimilmente saranno oggetto di una miriade di offerte consulenziali e di convegni più o meno utili) ciò su cui è importante riflettere è quale percorso potrebbe essere seguito da un intermediario finanziario per tradurre tali aspettative (ed altre che possono facilmente arricchire la domanda minimale della Vigilanza) in uno sviluppo attivo dei margini di conto economico ed in un utile strumento di rafforzamento della propria posizione patrimoniale.
Come noto, i rischi climatici ed ambientali hanno natura e struttura diversa rispetto ai tradizionali rischi oggetto della normativa di vigilanza e richiedono un approccio ben più esteso nel tempo rispetto a quanto normalmente assunto in sede di valutazione dei tradizionali rischi bancari e finanziari.
Il primo passo, pertanto, è sviluppare una appropriata conoscenza dei rischi climatici ed ambientali e, come ogni processo di sviluppo della conoscenza che meriti questo nome, tali insiemi di conoscenze dovrebbero essere più assunte nell’alveo delle strategie aziendali da adottare piuttosto che non nell’ambito dei rischi dai quali meramente difendersi: l’edificio organizzativo dovrebbe essere elevato di qualche piano e non ci si dovrebbe limitare, invece, a sostituire e chiudere bene gli infissi.
In secondo luogo, la cultura aziendale (compresa la cultura del rischio e quella dei controlli) che dovrebbe presiedere lo sviluppo di adeguati standard ESG dovrebbe essere impregnata anche di un solido e concreto senso di responsabilità nei confronti degli individui, delle comunità e della natura (perché la natura non può diventare cliente di una banca o di un intermediario finanziario?) e non limitarsi a porre delle difese passive da rischi climatici ed ambientali che vedono l’intermediario interpretarsi quale spettatore passivo, incolpevole ed inerme. La transizione da far maturare in banca, quindi, è nella qualità e nell’ampiezza dell’approccio al rischio, non nella misurazione dei contenuti specifici dei rischi climatici ed ambientali. Se questa maturazione avviene, non solo le aspettative di vigilanza saranno ampiamente soddisfatte, ma esse si tradurranno naturalmente in una utile base per far evolvere le strategie aziendali, ridurre i rischi, ampliare le fonti di ricavo, innovare negli strumenti finanziari di rafforzamento del patrimonio e concretizzare le responsabilità sociali delle banche e degli intermediari finanziari.