Sostenibilità e Vigilanza: l'approccio della BCE
Come noto, le Autorità di Vigilanza si sono mosse già da tempo per valutare i rischi climatici e gli effetti che essi possono avere sulla stabilità degli intermediari finanziari ed assicurativi. Consiglio di leggere l'intervento che Pentti Hakkarainen, membro del Supervisory Board della BCE, ha recentemente tenuto all'Hannes Snellman Financial Law Seminar (Helsinki, 9 settembre 2019) ed al quale potete accedere, sul sito della BCE, cliccando qui.
La prolusione di Hakkarainen contiene molti spunti interessanti sul tema della sostenibilità - tema che non è stato ancora perfettamente delineato nei confini e nelle definizioni - e consente di fare chiarezza su alcune delle sue principali aree grigie. Essa riporta anche, e con inconsueta durezza per un banchiere centrale, alcune affermazioni che fanno riflettere (grassetto mio): "So yes, the financial sector can bring about swift and profound changes for the better and act as one of the drivers towards a greener economy. But what about banking regulators and supervisors? Should they support the financial sector in its role as an agent of change? Should capital requirements be lower for green assets, for instance? From my point of view, the answer is quite clear. It is not up to supervisors or regulators of banks to conduct climate politics. Our job is to ensure that banks are safe and sound. Personally speaking, I would love to see an economy that is in balance with nature and social rights. But professionally speaking, it is not my job. As a banking supervisor, my job is to care about the risks that climate change poses to banks. So let’s take a look at some of these risks."
Se è apprezzabile il fatto di non voler inquinare l'azione della Vigilanza con temi che hanno a che fare più con le politiche ambientali che non con la stabilità degli intermediari finanziari, non pare logico attendersi una maggiore stabilità di questi ultimi se, a mero titolo di esempio, l'economia green verrà per sempre valutata con gli stessi criteri di quella brown.
Siamo davvero sicuri che le imprese green presentino profili di rischiosità analoghi a quelle brown? Perchè le banche commerciali non dovrebbero prezzare anche i rischi ambientali delle imprese affidate nelle loro politiche creditizie? E perchè tali rischi non dovrebbero venire conseguentemente riflessi anche in sede di ponderazione del credito utilizzato? Davvero non è possibile chiamare gli intermediari vigilati ad assumere una posizione intermedia fra quella di "agenti attivi del cambiamento" e quella di "soggetti passivi esposti ai rischi ambientali"? In un mondo globale ed interconesso, crediamo davvero che mercati e consumatori non esprimano, in misura crescente, valutazioni distinte tra enti ed imprese green e brown? Viviamo ancora in un mondo così lineare da poter impedire commistioni fra rischi ex-post e politiche ex-ante degli intermediari finanziari? Come immaginiamo di incentivare la transizione verso un'economia low carbon - che, peraltro, rappresenta una incredibile opportunità di business proprio per le banche - se questa non transiterà mai nei bilanci e nelle segnalazioni di vigilanza?